di MICHELE CONCINA

Sembrano proprio quelli che abbiamo visto al cinema, da Humphrey Bogart a Robert Redford: vigili sentinelle dei diritti civili, nemici implacabili del potere corrotto, instancabili segugi, intrepidi cronisti in prima linea di guerre, rivoluzioni, catastrofi. Però questi sono giornalisti in carne e ossa; e sono ancora più tosti.

Il 4 maggio sono stati assegnati i Pulitzer 2020, i premi di giornalismo più famosi e ambiti dell’universo conosciuto, benché riservati a reporter e testate americane. Per la prima volta in cento anni e passa, niente cerimonia alla Columbia University: Dana Canedy, presidente della giuria, ha proclamato i vincitori dal salotto di casa sua, in diretta YouTube. Per la categoria Public service ha vinto il giornale più periferico che c’è, l’Anchorage Daily News. In Alaska, ha dimostrato il quotidiano della capitale con un’inchiesta durata un anno sullo stupro, almeno un terzo dei villaggi rurali è priva o quasi di un servizio di polizia. Sono le comunità in cui si concentrano i nativi, e sono anche quelle in cui i reati sessuali sono il quadruplo della media americana.

le clientele del governatore

A vincere il premio per le Breaking news, battendo finalisti blasonati come il Los Angeles Times e il Washington Post, è stato il Courier-Journal di Louisville. Piccolo ma indomabile, ha sentito un odore sgradevole nelle centinaia di provvedimenti di grazia firmati dal governatore del Kentucky a fine mandato. Scavando, ha scoperto che con molti dei graziati l’uomo politico repubblicano aveva legami di clientela. L’inchiesta giornalistica ha portato all’apertura di un’indagine federale. ProPublica, un sito investigativo senza fini di lucro, ha lavorato un anno e mezzo per chiarire una lunga catena d’incidenti mortali che hanno coinvolto la flotta militare americana del Pacifico e il corpo dei Marines, intervistando centinaia di testimoni e acquisendo tredicimila pagine di documenti. Ostacolato in ogni modo dai comandi militari, è riuscito comunque a portare alla luce una catena di errori e sciatterie banali ma letali: equipaggiamento antiquato, addestramento insufficiente, allarmi ignorati. Con quell’inchiesta, il sito si è assicurato il Pulitzer nella categoria National reporting.

Grandi e medie potenze

Le grandi e medie potenze del giornalismo americano non sono certo uscite sconfitte, naturalmente. Il New York Times ha vinto l’International reporting con una serie di servizi sul posto, parecchio rischiosi per i giornalisti, sul peggio di Vladimir Putin: omicidi politici, manipolazione delle opinioni pubbliche, legami con trafficanti d’armi e bande di mercenari. Il quotidiano di New York ha portato a casa anche i premi per Investigative Reporting, con un’inchiesta sullo sfruttamento dei tassisti immigrati a Manhattan; e Commentary, con un saggio -molto contestato a destra- sul contributo degli afro-americani alla storia degli Stati Uniti. Il Washington Post incassa il premio per l’Explanatory reporting grazie a una serie ultra-documentata di servizi sul riscaldamento globale.

Il Los Angeles Times ha vinto nella categoria Criticism con un durissimo attacco al progetto dell’amministrazione cittadina di ridimensionare il Los Angeles County Museum of Art. Il Baltimore Sun ha vinto in Local reporting inguaiando un altro politico, la sindaca della città: ha scoperto che aveva firmato un contratto a trattativa privata con l’ospedale dell’università del Maryland per vendere i suoi libri per bambini, intascando centinaia di migliaia di dollari. E’ finita con le dimissioni, e con una condanna a tre anni di carcere. La Reuters e l’Associated Press si sono spartite i due premi disponibili per la fotografia d’attualità. Il New Yorker ha visto premiare il suo disegnatore storico, Barry Blitt, nella categoria Editorial cartooning, per le soavi ma poco lusinghiere caricature di Donald Trump. Per la prima volta è stato assegnato un premio per l’Audio reporting. E anche lì, il presidente americano non ne esce bene: hanno vinto le inchieste di due giornaliste al confine messicano sugli orrori della politica di Trump contro l’immigrazione.

 

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