di MARCO FRONGIA

Da qualche mese, l’Associazione stampa romana ha attivato uno sportello per contrastare mobbing e molestie nelle redazioni. Una volta a settimana, il vicesegretario dell’Asr Stefano Romita si occupa di raccogliere segnalazioni e fornire supporto a quanti, tra gli iscritti, si trovino in una situazione complicata sul posto di lavoro. 

Non è difficile immaginare quanto questi casi siano all’ordine del giorno. Colpa anche del precariato (che indebolisce parecchio la posizione di collaboratori e redattori nei confronti dei superiori) ma non solo. Oggi più che mai, opporsi a pressioni ingiuste – che siano legate al mobbing o all’ampio ventaglio delle molestie sessuali – può significare la disoccupazione. 

“Dopo varie situazioni, non ultime quelle accadute al Messaggero e dopo il sondaggio realizzato dalla Commissione pari opportunità della Federazione nazionale della stampa – ci spiega il vicesegretario Asr Stefano Romita – mi era venuta l’idea di aprire uno sportello settimanale per mobbing e molestie. Volevamo non solo raccogliere segnalazioni, ma anche essere parte attiva”.

Ogni caso ha bisogno di un approccio differente, ma di solito basta “contattare e richiamare all’ordine chi viene accusato, specie se abbiamo molte segnalazioni simili. Normalmente dopo questo confronto gli atteggiamenti cambiano. C’è più attenzione e spesso la situazione può rientrare, o comunque migliorare. Questo, naturalmente, nei casi più semplici”.

Finora, in questo primo periodo di attività, Romita ha affrontato perlopiù casi di dequalificazione professionale e demansionamenti; mobbing, per dirla con altre parole. Ma non è difficile immaginare che ci possano essere casi ancora più critici. Basti pensare al caso che aveva scatenato la già ricordata vicenda de Il Messaggero, ma non solo. 

 “Dimmi della tua vita privata”

Qualcuno ricorderà la storia raccolta da Concita De Gregorio lo scorso aprile, con il surreale colloquio di lavoro sostenuto da una giornalista qualche mese prima, in cui si è vista bombardata di domande fuori luogo sulla propria vita privata. Tanto approfondite da dover addirittura precisare il proprio orientamento sessuale.
“A rendere ancora più umiliante il colloquio – scrive la 31enne, che si firma Veronica – la presenza in quel salotto di una collega che affiancava il direttore e che, forse anche lei a disagio, non è intervenuta. Quando è arrivato il loro ‘non sei stata selezionata’, mi sono chiesta se avessero valutato le mie capacità o la mia vita privata? E forse questa è la vera domanda: è normale un colloquio del genere? Con un candidato uomo, le domande sarebbero state le stesse? In quanti sono costretti a mandare giù qualsiasi cosa per un posto?”.

Riunioni dopo le ore 20

Una storia in ogni caso verosimile, ma difficile da verificare. A differenza di quella (questa sì, verificata) di un direttore e del suo rapporto con le collaboratrici della propria testata. A una di queste, che svolgeva anche un secondo lavoro per potersi permettere di pagare l’affitto e le spese, aveva promesso il riconoscimento del praticantato giornalistico. In cambio, però, le faceva pressioni perché saltasse i turni sul secondo posto di lavoro, andando invece a cena con lui o partecipando a improbabili riunioni dopo le 20, in una redazione deserta. Con intenti, purtroppo, facilmente prevedibili. Stando a quanto racconta la stessa collaboratrice – che nel frattempo non svolge più né il praticantato né quel secondo lavoro – il direttore sarebbe stato protagonista almeno di un altro caso simile.

Segnalazioni come queste, per il momento, non sono ancora frequentissime per lo sportello dell’Asr. “Certamente c’è difficoltà a convincere le persone a stare tranquille”, afferma Stefano Romita, che evidenzia come situazioni così delicate siano spesso difficili da far emergere per paura di ritorsioni. “È comunque una raccolta che viene fatta con la massima riservatezza, ma le persone hanno paura di perdere quel poco di possibilità di lavorare”.

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