di LORENZO GRIGHI

C’è un giornale in Italia che come il Guardian chiede aiuto ai lettori per salvarsi. Anzi, è da un po’ di tempo che lo fa. Nel giugno di cinquant’anni fa usciva il primo numero de Il Manifesto, nato come rivista politica mensile diretta da Lucio Magri e da Rossana Rossanda. Con una tiratura iniziale di 75 mila copie, il giornale d’indirizzo comunista sarebbe poi diventato quotidiano a partire dal 1971. Concepito all’interno della componente più a sinistra del Partito Comunista Italiano, tra le sue firme figuravano Luigi Pintor, Aldo Natoli, Valentino Parlato, Luciana Castellina. Un giornale nato avventurosamente, in forma autonoma, senza editori e con pochi fondi: già nel secondo numero comparvero sottoscrizioni per avere un aiuto da parte dei lettori, avviando quella che sarebbe stata una dolorosa e agguerrita battaglia per la sopravvivenza. Oggi, a distanza di mezzo secolo, quella battaglia è più viva che mai.
A seguito dell’azzeramento graduale del “fondo pubblico per l’editoria” approvato nella finanziaria del 2018 dall’attuale governo giallo-verde, i finanziamenti ai giornali gestiti in cooperativa, come appunto Il Manifesto, subiranno un taglio progressivo che diventerà totale nel 2022. La sforbiciata sarà del 20% quest’anno, del 50% l’anno prossimo e del 75% nel 2021. “Noi prendevamo 3 milioni di finanziamento, mentre altri 4,5 arrivano da abbonamenti, vendite in edicola e pubblicità” spiega Matteo Bartocci, direttore editoriale del giornale. “Con la nuova legge solo quest’anno perderemo 600 mila euro, che saliranno progressivamente a 1 milione 200 mila euro l’anno successivo e a 1 milione 800 mila nel 2021. È inutile dire che sopravvivere è un’impresa quasi impossibile, a queste condizioni”.

ARRIVA L’ENNESIMA TEGOLA

È l’ennesima tegola nella storia di un giornale che in 50 anni di vita ha sempre voluto mantenere, ad ogni costo, la propria connotazione di pubblicazione autonoma e autogestita dai lavoratori. Senza voler andare troppo indietro nel tempo, la riforma dell’editoria voluta dal governo Monti nel 2012, che aveva alzato i requisiti di accesso per avere diritto al contributo, aveva costretto il gruppo alla liquidazione coatta per l’eccessivo accumularsi di debiti (circa 20 milioni di euro). Il giornale aveva comunque continuato ad uscire in edicola, ma a gestirlo era subentrata una cooperativa costituita dagli stessi giornalisti. Alle difficoltà iniziali si era aggiunto anche il problema del pagamento dell’affitto della vecchia testata, al costo di 1000 euro al giorno per due anni. Nel 2015 la nuova cooperativa riuscì a rilevare la testata, comprandola per un milione di euro, in buona parte (450 mila euro) finanziati dalle sottoscrizioni dei lettori.
Dopo essere sopravvissuto alla fase del primo taglio ai finanziamenti pubblici e ai problemi legati alla liquidazione e all’ingresso della nuova cooperativa, ora la battaglia del Manifesto si rinnova. Per cercare di recuperare i fondi sottratti dall’ultima finanziaria, il giornale si è rivolto ancora una volta, come tante nella sua storia, ai suoi più fedeli sostenitori: i lettori.
L’ultima campagna si chiama “io rompo”, divertente trovata che è allo stesso tempo un gioco, una campagna abbonamenti e un crowdfunding “per un nuovo modello di giornalismo indipendente. Tre obiettivi in un colpo solo: dare a tutti la possibilità di leggere un’informazione critica, indipendente e di qualità”, si legge nel sito.

MURO DI MATTONI  Da ABBATTERE

Il 15 maggio, nel portale del Manifesto, è comparso una sorta di veloce videogame, un muro di mattoni da rompere attraverso donazioni che possono andare da 3 a 3.333 euro. “Siamo circondati da un muro che ci isola dagli altri, tra fake news e algoritmi che ci fanno vedere solo quello che ci piace. Noi invece questo muro lo vogliamo rompere, per un modello di giornalismo indipendente”, racconta Matteo Bartocci. L’obiettivo è a quota 1 milione 200 mila euro, cifra che permetterebbe di costruire un sito aperto a tutti, senza paywall né pubblicità. La campagna non è quindi semplicemente di abbonamento, è più simile a un patronato, un sostegno alla causa del giornale: “Il giornalismo non è solo un servizio, ma un valore fondante della nostra democrazia, ha un ruolo sociale. Le piccole voci come le nostre rischiano di scomparire, per questo abbiamo adottato questa formula: chi può paga, chi non può avrà comunque accesso illimitato al nostro servizio” continua Bartocci. “È un’idea filosofica del giornalismo, che non può rivolgersi solo agli abbonati, deve essere accessibile a tutti”.
Al momento hanno aderito alla campagna 1500 persone. Se tutte mettessero 3 euro, ne servirebbero 400 mila. La lunga battaglia del Manifesto continua.

(nella foto, Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Lucio Magri)

2 Commenti

  1. Per me che provengo dalla milizia comunista a Palermo, dove ho collaborato come cronista di nera al quotidiano L’ORA, accanto a giornalisti di forte tempra come Salvo Licata e tanti altri fra cui lo sventurato Mauro De Mauro, poter seguire Il Manifesto é ancora motivo di speranza a dispetto di tempi che inesorabilmente volgono al . Soprattutto per vecchi inutili come me, che sto per compiere 81 anni. Un saluto fraterno.

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